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LA PESTE

CHIESA DI SAN ROCCO

SCUOLA DI SAN ROCCO: sala terrena

SCUOLA DI SAN ROCCO: sala superiore

SCUOLA DI SAN ROCCO: sala albergo

 

 

IL MOSTRO DI LONDRA di Luca Stocchi
Londra è una città bella ed elegante ma non tutti i quartieri sono così, il mio è particolare. Qui gli ubriachi vagano in mezzo alla strada e i ladri li derubano, assassini girano il quartiere, e non ci si preoccupa affatto se si sente qualche sparo o se i ragazzi si scambiano droga sotto casa.
Ma quella sera non si sentiva un rumore, la luna era piena e la strada poco visibile per la nebbia, l'aria umida e l'ambiente più oscuro e pauroso che mai. I ladri non si vedevano e i venditori di droga erano spariti.
In quel momento stavo camminando frettolosamente.
Nel percorso vidi poco chiaramente una figura nera correre velocemente e svoltare per un viottolo, dopo sentì un urlo, andai a vedere ed era una signora leggermente ferita.
A causa dello strano comportamento rincorsi la figura, era molto veloce e inoltre più andavo avanti e più diventava buio.
Per fortuna la luna si liberò delle nuvole e con mia grande sorpresa vidi una immensa casa abbandonata, l'erba era alta, la casa era buia e tetra e semi distrutta con molte piante arrampicanti.
In quel momento cominciò a piovere e decisi di tornare il giorno successivo.
La notte dormi poco per pensieri spaventosi sulla casa e sulla figura.
La notte successiva tornai e con molta paura entrai, il portone era pieno di ragnatele, nella sala si vedeva poco, i flebili raggi della luna attraversare i vetri, la parete era piena di quadri con impiccati e vampiri da mettere i brividi. 
Camminavo e sentivo gli squittì dei topi e i ragni salirmi per il corpo, vedevo a malapena le gocce di sangue sul pavimento che si susseguivano.
Ad un tratto entrai in un giardino l'erba era corta e bagnata, la visibilità pessima perché la nebbia stava calando e aveva coperto la luna.
Osservando bene i muri vidi chiazze di sangue qua e là, e mi sentivo nel vuoto.
Un momento dopo sentì un urlo disumano, così cominciai a sudare… un altro… questa volta di un bambino e dalla paura restai immobilizzato.
Ora dei passi si avvicinavano, erano ormai vicini, e con sorpresa vidi un gatto uscire dalla nebbia e avvicinarsi.
Tirai un sospiro di sollievo, mi chinai per accarezzarlo ma una grande mano lo prese e lo stritolò e le ossa del gatto scricchiolarono.
Così alzai lo sguardo e vidi con orrore una persona che aveva due grandi corna sulla testa, due occhi rossi di sangue e si vedevano facilmente i suoi possenti muscoli.
Fece un grugnito e mi balzò addosso, mi colpì ma riuscì a tenerlo distante dal petto con le braccia e le gambe.
La sua forza era immensa, mi stava rompendo le ossa ma, per mia fortuna la pistola che nascondevo nel calzino cadde.
Non esitai ad afferrarla ed a sparare al mostro dodici colpi; ora esso giaceva a terra ed io ero gravemente ferito.
Per arrivare a casa presi un viottolo stretto che portava in una grande strada .
Con mio grande orrore vidi molte persone senza vita, ma non c'erano segni di sangue, quindi non doveva essere stato il mostro; la strada illuminata dall'alba sembrava un lazzaretto.
A poca distanza vidi la stessa persona che il giorno prima era stata aggredita con un graffio sul fianco ed anch'essa giaceva a terra.
L'unico motivo della morte di quelle persone poteva essere una malattia trasmessa dal mostro.
Mi girai e vidi una donna, era molto carina, sembrava preoccupata ed i suoi verdi occhi splendevano d'orrore nel ricordare qualcosa, mentre i capelli rossi e corti sventolavano.
Era alta e avrà avuto vent'anni ma sembrava più matura e aveva un'aria particolare che la rendeva una ragazza semplice.
Mi si avvicinò e mi disse: "vieni con me solo io posso aiutarti ".
Non so come, ma accettai; forse perché assomigliava a mia madre.
Mi portò in un sotterraneo, appesi al muro c'erano il suo diploma e la sua laurea; appoggiati alla parete due tavoli con fornellini e provette. In mezzo alla stanza stava un tavolo operatorio.
La ragazza mi sussurrò di stendermi sul tavolo mentre lei preparava uno strano miscuglio.
Sembrava molto esperta, ma intanto la ferita mi faceva sempre più male e le gambe cominciarono a immobilizzarsi .
Dopo una decina di minuti si girò verso di me con una siringa in mano e sogghignò.
L'ago trafisse la pelle ed io mi sentì molto meglio.
La ferita non faceva più male e potevo di nuovo muovere le gambe.
Incuriosito le chiesi :" ma come facevi a conoscere l'antidoto?"
Lei rimase in silenzio, si voltò verso la finestra e poi disse :" tre settimane fa inventai una pozione capace di trasformare qualunque essere animale in un essere perfetto e volevo sperimentarlo su un topo".
Rimase in silenzio e poi riprese:" il giorno seguente mio marito morì in un incidente ed io per la disperazione inghiottìì la pozione; per fortuna avevo già formulato un antidoto.
Con mia sorpresa invece di diventare un essere perfetto mi trasformai in un orribile mostro malefico.
La pozione entrata nel sangue lo infettò e portò una malattia.
Uscii di casa e la prima persona che incontrai fu un'atleta, istintivamente lo morsi, ma siccome era sotto creatina e altre droghe varie, la mia malattia si assemblò con il suo sangue e, lo trasformò in un mostro.
Avendo capito che ero solo un pericolo pubblico, mi inniettai l'antidoto e così tornai normale".
Solo in quel momento allontanò il suo sguardo dalla finestra e si girò verso di me incrociando il mio sguardo.
Io la ringraziai per avermi raccontato la sua storia , ora ero soddisfatto ed insieme mano nella mano ci incamminammo verso quella strada desolata pronti a svolgere l'ingrato compito : bruciare i corpi dei morti per evitare l'espandersi della malattia.
L'attività della ragazza mi piaceva e così trovai finalmente un lavoro.
Diventai infatti il suo assistente.
  LA LUCE DELLA PESTE di Francesca Serafin
  Gordon stava uscendo dall'università e prese la bicicletta andò al caffè a bere una cioccolata, mentre cominciava a ripassare la lezione di disegno. Era un ventiduenne alto e magro e portava gli occhiali, come tutti gli studiosi. Era educato e amava la natura e non per niente la sua materia preferita era l'educazione artistica perché gli permetteva di descrivere i fiori come li osservava. Era un ottimo osservatore. Dopo aver pagato il conto,cominciò a pedalare e prese una stradina tranquilla che portava poco fuori Londra. Non amava il rumore delle macchine, infatti lui era convinto che bisognasse ritornare al passato, quando le macchine erano rare e le biciclette in gran numero così l'aria sarebbe stata più pulita e sarebbe stato un vantaggio, per chi come lui, abitava in centro. Si fermò in un immenso prato di bellissimi tulipani rossi e di margherite dove si innalzava un'enorme fortezza. I capelli erano mossi da una leggera brezza e stare lì in mezzo sembrava il paradiso. Si leggeva un buon libro tenendo tra i denti un filo d'erba. Dopo un po' si stiracchiò e incominciò ad osservare i fiori. Quello che osservava lo trascriveva in un diario che si portava sempre dietro. Giunse il tramonto, la palla di fuoco scomparve dietro l'orizzonte e il cielo si sfumava di quel rosso che ti fa sognare. 
Gordon restò a fissare il tramonto finchè non scomparve e dopo ritornò a casa a bere la sua cioccolata davanti al caminetto per asciugarsi le ossa inumidite dalla pioggerellina che era incominciata a cadere. Gordon finì di leggere il libro e dopo essersi fatto un bel bagno caldo, sprofondò nella soffice trapunta ascoltando una cassetta dei Beatles. Un'altra materia preferita da Gordon era la musica anche se lui pensava che il professore avesse un metodo di insegnamento sbagliato. 
Il giorno dopo Gordon andò alla fortezza insieme al suo amico William, entrarono e si trovarono in un gran salone coperto da vecchi e consumati tappeti. C'era una scricchiolante scalinata. Piombò il silenzio, interrotto dai cric croc dei gradini e dai tuoni tremendi del temporale. All'improvviso William cadde e Gordon cercò di aiutarlo. William era caduto perché aveva ceduto un gradino. In cima alla gradinata c'era un lungo corridoio che aveva molte stanze. Nelle stanze c'erano tavoli rovesciati, sedie rotte con scheletri mangiati dai topi e bagnati dalle gocce d'acqua che entravano dal soffitto. Gordon osservò che tutte le porte erano aperte tranne una. Ad un certo punto William e Gordon udirono lo sbattere di una porta e William balbettò: "Gordon è vento, ve ro?" gordon annuì tranquillizzandolo. La porta sbattè di muovo. William scappò impaurito e corse lungo il corridoio lasciando cadere il walkman. Gordon proseguì, ma dopo un po' si accorse che l'amico non era più vicino a lui e cominciò a cercarlo, ma prima volle chiudere la porta che si era chiusa. Ci riuscì solo dandole uno spintone. La sua faccia non riusciva a nascondere la paura vedendo che la stanza era priva di finestre e lampadari, spoglia di ogni mobile ma illuminata da una luce che non era proiettata da nessuna fonte luminosa. Allora corse lasciando cadere la torcia elettrica. William gridava:" Gordon, Gordon" ma Gordon pensava solo a scappare. Ad un certo punto William si scontrò con Gordon e urlò di dolore perché si era fatto male ad un dito con un chiodo vecchio e pieno di ruggine: All'improvviso il dito di William fu avvolto dalla luce della stanza: Gordon aiutò l'amico a rialzarsi. Gordon disse:"Vieni continuimo il giro del castello". Ad un certo punto sbattè di nuovo la porta. William svenne e Gordon cercò di farlo rinvenire portandolo fuori dalla fortezza. William si svegliò in mezzo al prato di fiori bagnati dal temporale e con l'aiuto dell'amico tornò a casa. 
Passò una settimana e per i due amici ormai la piccola avventura del castello era dimenticata, ma Gordon voleva tornare perché c'era qualcosa che non lo convinceva e che lo spingeva ad andare . Pensava di fare una mostra di quadri dipingendo i luoghi della fortezza stampati nella sua mente.
Un giorno andando all'università lesse che era chiusa per un'altra settimana.prese la bicicletta e andò a trovare il suo amico William, entrato gli fu detto che era ammalato e chiese notizie al dottore che stava per andarsene:"Purtroppo il ragazzo non ce la farà, morirà di peste".Allarmato Gordon esclamò "Di peste?Ma come è possibile?" Riprese il medico:"Mi dispiace figliolo ma deve averla presa toccando qualcosa oppure gli è stata trasmessa da qualcuno. E' già il ventesimo caso in una settimana e ormai sono sicuro che si tratti di peste, riguardo a William non ce la farà fino a stasera.Bisognerà dare l'allarme agli altri per evitare un'epidemia".Detto questo se ne andò .Gordon rammentò che quando William si era punto il dito una luce l'aveva avvolto,ma pensò che fosse solo frutto della sua immaginazione. Fece la spesa, rientrò in casa e restò sdraiato sulla poltrona ascoltando alla televisione, il telegirnale. La notizia principale della giornata era la peste.Spento lo schermo voleva ascoltarsi la cassetta dei Beatles, ma si ricordò che era rimasta nel walkman di William e si ricordò di aver lasciato cadere il suo diario. 
Andò al funerale dell'amico e si rifugiò in casa, per non essere contaggiato dalla peste che si stava propagando. La gente si rifugiava in casa a e bisbigliava:"io parto per l'America, ho una vecchia cugina che non vedo da anni" un'altra disse:"Io resto chiusa in casa e ho i viveri per l'intero anno". Ormai l'autunno era alle porte e Gordon guardava dalla finestra Londra che si svuotava di tutta la sua vivacità. Al posto delle macchine, per strada trovavi i cadaveri dei contaggiati. Gordon osservava la casa di fronte da cui giunse un gridoche fece oscillare il vetro a cui si affacciava. Gordon non fu spaventato dall'urlo imrovviso ma dal vedere una scia di luce che uscì poco dopo dalla finestra. Quando la scia luminosa passava vicino alle persone che avevano i sintomi della peste, morivano cadendo a terra. Le strade erano infestate dai cadaveri e dai parenti che li raccoglievano per seppelirli. All'improvviso un uomo apparve alla finestra e urlò :"Aiuto,aiuto" Gordon voleva aiutarlo però c'era qualcosa che lo tratteneva. Lo guardava e vedeva la sofferenza e si rendeva conto di che cosa avesse passato William. Le grida erano talmente piene di sofferenza e di dolore che Gordon ruppe la tazza di cioccolato che era sul tavolo. Poi le grida non si udirono più. L'uomo sfiorato dalla scia luminosa morì. Gordon si rimproverò di essere stato indifferente a quella epidemia e di non aver fatto niente per William e gli altri. L'unica cosa che poteva fare era scoprire la fonte del contagio. Prese la bicicletta e andò alla fortezza e si diresse verso la stanza dove era imprigionata la luce. Si ricordò che appena William aveva toccato il chiodo la luce gli aveva avvolto la mano. Allora capì che cosa doveva fare. Andò in città e cominciò a correre e a farsi inseguire dalla scia luminosa. Arrivò alla fortezza e buttata la bicicletta a terra entrò e corse su per la scala, ma inciampò in un gradino. La luce lo stava per raggiungere ed era velocissima, allora Gordon usò tutte le forze che aveva per alzarsi e con il fiatone si diresse nella stanza e riuscì a chiuderlo dentro.
Era arrivato l'inverno e l'epidemia era quasi scomparsa del tutto e l'aria si era liberata di quel fastidioso odore di cadaveri. Le campane avevano ripreso a suonare e la gente più coraggiosa cominciò ad uscire ancora un po' titubante da casa. Gordon stava camminando sul marciapiede e vide in vendita la collezione dei Beatles e l'acquistò con i soldi guadagnati alla mostra dei quadri che descrivevano la sofferenza e il dolore che aveva passato Londra. 
Quello che aveva visto Gordon lo scrisse nel suo cuore e nella sua mente perché i dolori vissuti non si possono descrivere.
NOTTE D'ORRORE AL "MADAME TUSSAUD'S" di Alvise Masiero
  Gordon Newman era un giovane studente di medicina alla London University. Aveva ventun'anni e a giorni avrebbe dovuto affrontare un difficile esame di anatomia. Era un fanatico dei Beatles e spesso, per distrarsi, suonava le loro canzoni come Yesterday e Penny Lane. Quell'estate del 1971 era particolarmente calda e quell'11 luglio la temperatura raggiunse i 24°, cosa abbastanza rara per una città come Londra. Gordon aveva un caro amico, Clive, che aveva un negozio di chitarre a Carnaby Street. Gordon e Clive si trovavano frequentemente a suonare assieme. Londra, negli anni '70 era una città allegra, illuminata e caratterizzata dalla musica dei Beatles e dei Rolling Stones che si facevano concorrenza. La nebbia era un fenomeno molto frequente e in quelle giornate di luglio la sagoma del sole si intravedeva debolmente. Gordon aveva un appartamento modesto e viveva da solo. Verso le cinque del pomeriggio chiuse il libro di anatomia, stanco di studiare e gli venne in mente che aveva portato la sua chitarra da Clive per farla aggiustare. Così si incamminò. La Chelsea Road era una strada ricca di pubs dai quali usciva un gran odore di birra. In lontananza si sentivano le acque del Tamigi che scorrevano e le chiatte che navigavano. Per la strada c'era molta gente: chi tornava dal lavoro, chi doveva andare al supermercato o chi semplicemente stava facendo una passeggiata. La città era allegra e movimentata e Gordon si sentiva felice: aveva finito di studiare e finalmente poteva riutilizzare la sua "Fender Stratocaster". Dopo cinque minuti arrivò alle scale che scendevano alla metropolitana, timbrò I'abbonamento e si sedette ad aspettare il suo treno. Dopo quindici minuti arrivò al negozio di Clive a Carnaby Street. La porta era aperta, entrò ma non c'era nessuno; suonò il campanellino e, in attesa di Clive, si fermò ad osservare le bellissime chitarre esposte. Non arrivava nessuno e Gordon notò un gatto nero che lo fissava e che lo invitava a scendere in cantina. Gordon lo seguì: in cantina c'era Clive, per terra, con la testa fracassata dalla sua chitarra. Le dita erano sparse per il pavimento e aveva il manico della chitarra infilato in pancia. Aveva le vene delle braccia tagliate per lungo e i tagli erano cuciti con le corde in ferro della chitarra. Sul muri c'era un messaggio scritto col sangue: "Madame Tussoud's, tonight at 12 o'clock" (Museo delle cere, stanotte a mezzanotte). Gordon impaurito arrivò al pub più vicino dal quale chiamo Scotland Yard (la polizia inglese). A mezzanotte, sconvolto e incuriosito si diresse verso il Museo delle Cere. Camminava lungo Baker Street. La strada era illuminata da molti lampioni e dalla fioca luce della luna. I pubs erano aperti, ma ancora per poco. Da qualche pub si sentiva la musica dei gruppi che suonavano dal vivo. Non c'era nessuno e c'era pochissimo traffico: la maggior parte delle macchine era parcheggiata ai bordi della strada. Gordon era sconvolto per la morte di Clive e pensava a chi poteva essere stato a fare quelle atrocità senza motivo. Quando arrivò al museo delle cere si sbalordì: era aperto; a quell'ora di solito era già chiuso da un pezzo! Due guardie inglesi di cera tenevano aperte le due ante della porta come se lo stessero aspettando. Lui, dimenticando l'orribile omicidio e preso sempre più dalla curiosità, entrò. Dentro vide tutte le statue che si muovevano ed erano anche intelligenti perché potevano comprendere e parlare con lui. Gordon era sbalordito, non riusciva a crederci, gli sembrava un sogno. C'era Shakespeare, seduto ad un tavolino, che scriveva I'Amleto, ispirandosi al teschio; Sherlock Holmes che suonava il violino; Stallone e Schwarznegger che facevano a pugni e molti altri personaggi famosi, tutti impegnati a parlare o a divertirsi. Quando si accorse che c'erano i Beatles che stavano provando una loro canzone, impazzì: era al massimo della contentezza: questa scena l'aveva sognata decine di volte. John Lennon lo vide e, come se lo conoscesse, lo invitò a seguirlo nei sotterranei. Nei sotterranei era riprodotto un lazzaretto veneziano che veniva usato nel periodo della peste come quarantena e cimitero per gli appestati. La peste tra il XIV e il XVI secolo colpì tutta l'Europa. È una malattia infettiva altamente contagiosa e l'uomo può venirne infettato soprattutto dai topi e dalle pulci. Gordon alla visione del lazzaretto rimase sconvolto. Era pieno di uomini pieni di bolle e pustole che vomitavano e si disperavano, piangevano. Quelli che riuscivano ancora a camminare spingevano per uscire da quella prigione ma le guardie li ributtavano dentro sparando. Gordon non voleva rimanere lì, aveva paura così attraversò di corsa la sala ed arrivò al reparto dell'orrore, riservato agli omicidi celebri della storia: c'era Jack lo squartatore, la regina Maria Antonietta alla ghigliottina, due streghe al rogo, un impiccato e un condannato alla sedia elettrica. Gordon si ricordò del suo amico Clive e quella terribile immagine gli si impresse nella mente. Era terrorizzato. Per terra c'erano teste che rotolavano, cuori che pulsavano, budella, arti, organi, tutto immerso in un bagno di sangue. Cominciò a correre preso dal panico, voleva andarsene. Correndo andava a sbattere su corpi di impiccati, si inciampava su cervella e non riusciva ad avanzare. Cadde per l'ennesima volta con la faccia nel sangue e un corpo di un impiccato gli dondolò addosso. Gordon terrorizzato si alzò di scatto. Di sottofondo c'era una musica dei Beatles molto ripetitiva che gli martellava in testa e gli dava persino fastidio. Si rese conto di essere al Museo delle Cere e che le statue, anche se animate non potevano fargli niente, ma era tutto così reale: sembrava che tutti lo stessero minacciando e lui si sentina malissimo, gli veniva da vomitare a causa del gran odore di putrefazione. Voleva andarsene, ma non riusciva ad uscire. C'era poca luce: solo il bagliore accecante emesso dalla sedia elettrica e la debole luce di qualche torcia. Gordon cadde nuovamente e, cadendo, apri gli occhi, si sedette sul letto e disse: "Era un incubo, per fortuna. Sto diventando matto, devo aver studiato troppo per l'esame di anatomia". 
LA SPERIMENTAZIONE di Alessandro Sara
  "DRIN"…la campanella delle 11.30 suona, ma Gordon, classico topo di biblioteca, non si prepara ad uscire, preferisce finire il capitolo del suo libro, e poi tornare a casa con calma.
Lui, studente modello, vestito all'antica, alto, magro, con gli occhiali: che sembrano due fondi di bottiglia, inforca la sua bicicletta, con lo specchietto retrovisore e con la "barra" per la sicurezza e pedala. Arrivato a casa, pranza, prende il diario, studia e poi fa gli esercizi assegnati per il giorno seguente. La sua giornata tipo è così: piatta come una tavola da surf. Per movimentare la giornata, accende la tv, guarda un qualsiasi documentario e alle 9.30 va a letto con l'orsacchiotto vicino.
La mattina del Lunedì, Gordon, si alza, si prepara e fa la colazione. Esce e pedala piano, piano, ma purtroppo per lui incontra Jack, uno sbadato, che lo prende e a tutta birra, in moto, lo trascina. La "barra" si rompe e va a finire fra le due ruote facendoli capottare; Jack si salva col casco, mentre Gordon, sfortunato, batte forte la testa e sviene. Gli altri della banda, scappano, lasciandolo in una viuzza presso il College. Verso sera il bidello nota una bicicletta tutta ammaccata e lo soccorre.
"NE-NO"…"NE-NO"…la sirena dell'ambulanza suona e i medici, a bordo con gli elettrodi, intervengono…"ZZZ…CONTATTO"…nulla…"ZZZ…CONTATTO"…non si vedono segni di miglioramento e, ormai, in ospedale lo danno per deceduto. Alla mattina un'infermiera nota dei movimenti in una stanza e vede il paziente tentare la fuga. Lei, urla e sviene, ma lui è ormai lontano. Newman, sta correndo a casa, per cercare ulteriori indizi sulla scoperta fatta nel laboratorio dell'ospedale.
Arrivato a casa, trova una distesa di fiori, sul suo giardino, portati dai parenti, dai compagni e dal gruppo di Jack: comprende che Gordon Newman è deceduto la sera precedente.
Ora però ha da fare delle ricerche e le incomincia: ..."MAI…MAL…MALARIA…eccola qua, la ho trovata !"…"malaria: malattia infettiva tipica di zone paludose, che è divulgata dalla zanzara Anofele ed eliminata con il DDT. I sintomi sono dei violenti attacchi di febbre ogni 72 ore. Nel laboratorio, aveva scoperto e prelevato dei documenti riguardanti la malattia, perché, la notizia più interessante era che: le zanzare portatrici di questo male sono state clonate centinaia di volte e poteva decimare l'umanità. La prima tappa era Londra, poi la Francia e infine Mosca .Pensò inoltre, che se la sperimentazione fallisse salverebbe l'umanità intera e corre fuori. 
La notte è limpida e lui percorre una strada dopo la altra per divulgare le informazioni raccolte dai documenti e dalle ricerche fatte. In un primo momento, l'agitazione lo blocca e non riesce a riordinare le idee, poi però pensando alle stragi, che avrebbero fatto queste zanzare, trovò il coraggio e incominciò ad urlare le informazioni sulla malattia. 
Pensava di vedere tutte le persone vestirsi e uscire in fretta, per prendere un qualsiasi mezzo di trasporto che li portasse via, prima della strage, invece, la cittadina sembrava insensibile suo all'avvertimento. 
Tornato a casa, ormai all'alba, nota che è stata recintata, per essere demolita; quindi, cambia direzione rammentandosi che, alla sperimentazione mancava poco…La mattina seguente, nota un certo trambusto, a causa della demolizione della sua casa, ma, sente delle urla che lo incuriosirono molto e va a controllare: la sperimentazione è in atto e le zanzare stanno pungendo.
Molte persone sono già state punte e Gordon va a comprare tante bombolette di DDT e le distribuisce nelle varie case. Ordinò di coprirsi e difendersi bene, mentre lui andava dirigendosi nel laboratorio dove, era sicuro di trovare il "clonatore" delle zanzare, che era ritornato per vedere, il perché o, chi, aveva fatto fallire il suo progetto.
Arrivato in ospedale, si nascose dietro un tavolo pieno di filtri e boccette. Ad un tratto, la porta si spalancò, ed entrò una persona che incominciò a gridare: "Le mie creature! Distrutte da insignificanti insetticidi, o, da degli stupidi schiaccia mosche…io, che le ho clonate per distruggere il genere umano…"…Appena udì ciò, Newman si alzò: aveva le mani sudate, le dita che lo infastidivano e una voglia matta di fargli male; prese una provetta e gliela spaccò sul muso……"Gordon! Gordon!" l'infermiera lo scuote e gli dice: "Ti abbiamo trovato svenuto davanti alla scuola ora sei in infermeria come va?".