dalle
FIABE ITALIANE di Italo Calvino
Una volta c’era un pescatore che non
riusciva mai a pescare abbastanza da comprare
la polenta per la sua famigliola. Un giorno,
tirando le reti, sentì un peso da non poterlo
sollevare, tira e tira ed era un granchio così
grosso che non bastavano due occhi per vederlo
tutto. – Oh, che pesca ho fatto, stavolta!
Potessi comprarmici la polenta per i miei
bambini!
Tornò a casa col granchio in spalla, e disse
alla moglie di mettere la pentola al fuoco che
sarebbe tornato con la polenta. E andò a
portare il granchio al palazzo del Re.
- Sacra Maestà, - disse al Re, - Sono venuto
a vedere se mi fa la grazia di comprarmi
questo granchio. Mia moglie ha messo la
pentola al fuoco ma non ho i soldi per
comprare la polenta.
Rispose il Re: - Ma cosa vuoi che me ne faccia
di un granchio? Non puoi andarlo a vendere a
qualcun altro? In quel momento entrò la
figlia del Re: - Oh che bel granchio, che bel
granchio! Papà mio, compramelo, compramelo,
ti prego. Lo metteremo nella peschiera insieme
con i cefali e le orate.
Questa figlia del Re aveva la passione dei
pesci e se ne stava delle ore seduta
sull’orlo della peschiera in giardino, a
guardare i cefali e le orate che nuotavano. Il
padre non vedeva che per i suoi occhi e la
contentò. Il pescatore mise il granchio nella
peschiera e ricevette una borsa di monete
d’oro che bastava a dar polenta per un mese
ai suoi figlioli.
La Principessa non si stancava mai di guardare
quel granchio e non s’allontanava mai dalla
peschiera. Aveva imparato tutto di lui, delle
abitudini che aveva, e sapeva anche che da
mezzogiorno alle tre spariva e non si sapeva
dove andasse. Un giorno la figlia del Re era lì
a contemplare il suo granchio, quando sentì
suonare la campanella. S’affaccio al balcone
e c’era un povero vagabondo che chiedeva la
carità. Gli butto una borsa di monete
d’oro, ma il vagabondo non fu lesto a
prenderla al volo e gli cadde in un fosso. Il
vagabondo scese nel fosso per cercarla, si
cacciò sott’acqua e si mise a nuotare. Il
fosso comunicava con la peschiera del Re
attraverso un canale sotterraneo che
continuava fino a chissà dove. Seguitando a
nuotare sott’acqua, il vagabondo si trovò
in una bella vasca, in mezzo a una gran sala
sotterranea tappezzata di tendaggi, e con una
tavola imbandita. Il vagabondo uscì dalla
vasca e si nascose dietro i tendaggi. A
mezzogiorno in punto, nel mezzo della vasca
spuntò fuori dall’acqua una Fata seduta
sulla schiena d’un granchio. La Fata e il
granchio saltarono nella sala, la Fata toccò
il granchio con la sua bacchetta, e dalla
scorza del granchio uscì fuori un bel
giovane. Il giovane si sedette a tavola, la
Fata batté la bacchetta, e nei piatti
comparvero le vivande e nelle bottiglie il
vino. Quando il giovane ebbe mangiato e
bevuto, tornò nella scorza di granchio, la
Fata lo toccò con la bacchetta e il granchio
la riprese in groppa, s’immerse nella vasca
e scomparve con lei sott’acqua.
Allora il vagabondo uscì da dietro ai
tendaggi, si tuffò anche lui nella vasca e
nuotando sott’acqua andò a sbucare nella
peschiera del Re. La figlia del Re che era lì
a guardare i suoi pesci, vide affiorare la
testa del vagabondo e disse: - Oh: cosa fate
voi qui?
- Taccia, padroncina, - le disse il vagabondo,
- ho da raccontarle una cosa meravigliosa -.
Uscì fuori e le raccontò tutto.
- Adesso capisco dove va il granchio da
mezzogiorno alle tre! – disse la figlia del
Re. - Bene, domani a mezzogiorno andremo
insieme a vedere.
Così l’indomani, nuotando per il canale
sotterraneo, dalla peschiera arrivarono alla
sala e si nascosero tutti e due dietro i
tendaggi.
Ed ecco che a mezzogiorno spunta fuori la Fata
in groppa al granchio. La Fata batte la
bacchetta e dalla scorza di granchio esce
fuori il bel giovane e va a mangiare. Alla
Principessa, se il granchio già le piaceva,
il giovane uscito dal granchio le piaceva
ancora di più, e subito se ne senti
innamorata.
E vedendo che vicino a lei giaceva la scorza
del granchio vuota, ci si caccio dentro, senza
farsi vedere da nessuno.
Quando il giovane rientrò nella scorza di
granchio ci trovò dentro quella bella
ragazza. – Cos’ hai fatto? – le disse,
sottovoce, - se la Fata se n’accorge ci fa
morire tutt’e due.
- Ma io voglio liberarti dall’incantesimo!
– gli disse, anche lei pianissimo, la figlia
del Re. – Insegnami cosa devo fare.
- Non è possibile, - disse il giovane. –
Per liberarmi ci vorrebbe una ragazza che
m’amasse e fosse pronta a morire per me.
La Principessa disse: - Sono io quella
ragazza!
Intanto che si svolgeva questo dialogo dentro
la scorza del granchio, la Fata si era seduta
in groppa, e il giovane manovrando le zampe
del granchio come al solito, la trasportava
per le vie sotterranee verso il mare aperto,
senza che essa sospettasse che insieme a lui
era nascosta la figlia del Re. Lasciata la
Fata e tornando a nuotare verso la peschiera,
il Principe – perché era un Principe –
spiegava alla sua innamorata, stretti insieme
dentro la scorza del granchio, cosa doveva
fare per liberarlo: - Devi andare su uno
scoglio in riva al mare e metterti a suonare e
cantare. La Fata va matta per la musica e
uscirà dal mare a ascoltarti e ti dirà:
“Suoni, bella giovane, mi piace tanto”. E
tu risponderai: “Sì che suono, basta che
lei mi dia quel fiore che ha in testa”.
Quando avrai quel fiore in mano, sarò libero,
perché quel fiore è la mia vita.
Intanto il granchio era tornato alla peschiera
e lasciò uscire dalla scorza la figlia del
Re. Il vagabondo era rinuotato via per conto
suo e, non trovando più la Principessa,
pensava d’essersi messo in un bel guaio, ma
la giovane ricomparve fuori dalla peschiera, e
lo ringraziò e compensò lautamente. Poi andò
dal padre e gli disse che voleva imparare la
musica e il canto. Il Re, che la contentava in
tutto, mandò a chiamare i più gran musici e
cantanti a darle lezioni.
Appena ebbe imparato, la figlia disse al Re: -
Papà, ho voglia di andare a suonare il
violino su uno scoglio in riva al mare.
- Su uno scoglio in riva al mare? Sei matta?
– ma come al solito la accontentò, e la
mandò con le sue otto damigelle vestite di
bianco. Per prevenire qualsiasi pericolo, la
fece seguire da lontano da un po’ di truppa
armata.
Seduta su uno scoglio, con le sue otto
damigelle vestite di bianco, la figlia del Re
suonava il violino. E dalle onde venne su la
Fata. – Come suona bene! – le disse. –
Suoni, suoni che mi piace tanto!
La figlia del Re le disse: - Sì che suono,
basta che lei mi regali quel fiore che porta
in testa, perché io vado matta per i fiori.
- Glielo darò se lei è capace di andare a
prenderlo dove lo butto.
- E io ci andrò, - e si mise a suonare e
cantare. Quando ebbe finito, disse: - Adesso
mi dia il fiore.
- Eccolo, - disse la Fata e lo buttò in mare,
più lontano che poteva.
La Principessa lo vide galleggiare tra le
onde, si tuffò e si mise a nuotare. –
Padroncina, padroncina! Aiuto, aiuto! –
gridarono le otto damigelle ritte sugli scogli
coi veli bianchi al vento. Ma la Principessa
nuotava, nuotava, scompariva tra le onde e
tornava a galla, e già dubitava di poter
raggiungere il fiore quando un’ondata glielo
portò proprio in mano.
In quel momento sentì una voce sotto di lei
che diceva: - Mi hai ridato la vita e sarai la
mia sposa. Ora non aver paura: sono sotto di
te e ti trasporterò io a riva. Ma non dire
niente a nessuno, neanche a tuo padre. Io devo
andare ad avvertire i miei genitori ed entro
ventiquattr’ore verrò a chiedere la tua
mano.
- Sì, sì, ho capito, - lei gli rispose,
soltanto, perché non aveva più fiato, mentre
il granchio sott’acqua la trasportava verso
riva.
Cosi, tornata a casa la Principessa disse al
Re che s’era tanto divertita, e
nient’altro.
L’indomani alle tre, si sente un rullo di
tamburi, uno squillo di trombe, uno scalpitio
di cavalli: si presenta un maggiordomo ad dire
che il figlio del suo Re domanda udienza.
Il Principe fece al Re regolare domanda della
mano della Principessa e poi raccontò tutta
la storia. Il Re ci restò un po’ male perché
era all’oscuro di tutto; chiamò la figlia e
questa arrivò correndo e si buttò nelle
braccia del Principe: - Questo è il mio
sposo, questo è il mio sposo! - e il Re capì
che non c’era altro da fare che combinare le
nozze al più presto.
(Venezia)
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